Perché le persone commentano e sono disinibite sui social?
Te lo sei mai chiesto?
Io sì, soprattutto ultimamente.
Se non hai mai avuto un’esperienza diretta prova a cercare ed analizzare un contenuto su temi sensibili (come possono essere la politica, ma anche lo sport o la religione) postato da un tuo contatto e leggi le reazioni.
Lo sdoganamento del qualunquismo e del fatto che chiunque abbia diritto di parola su tutto regna incontrastato.
Chiarisco subito un punto: io credo nella libertà di espressione, come ho anche scritto in precedenza.
Ma proviamo a ragionare: da che cosa deriva il desiderio delle persone di condividere sui social?
Forse partendo da lì riusciamo a capire cosa spinge qualcuno a comportarsi come se non avesse ricevuto una benché minima educazione primaria.
Vorrei seguire il ragionamento che fa Bryan Kramer nel suo libro “Condividere. Il potere di scambiarsi informazioni, storie ed emozioni” (Giunti Editore).
L’autore sostiene che gli esseri umani condividono risorse e conoscenze sin dai tempi preistorici e prima che esistesse il linguaggio parlato esplicito.
Ai tempi l’uomo condivideva per sopravvivere, oggi continuiamo a farlo anche se la sopravvivenza non è più rischio.
Il bisogno di condividere è basato sull’istinto umano non solo di sopravvivenza, ma dice Kramer anche per il bisogno di prosperare.
Le tecnologie digitali ci permettono di restare connessi con il resto del mondo, stanno trasformando il mondo. Anche se potenzialmente potremmo chiuderci in casa, avendo comunque tutto a disposizione di un clic, resta importante per tutti noi il bisogno di trovare una tribù, un’appartenenza, contribuendo a qualcosa più grande di noi ed essere riconosciuti per questo da un altro essere umano.
Dietro a tutte le motivazioni che le persone hanno nel condividere (aiutare, ridere, informare), la realtà è che si sente il bisogno di avere la “percezione di sé”.
Il giudizio che abbiamo di noi stessi significa molto per ciascuno di noi, perché rappresenta la nostra identità come persone. Ci preoccupiamo di quello che gli altri pensano di noi perché abbiamo bisogno di entrare in relazione con loro ed appartenere alla tribù ed allora dobbiamo allinearci con gli altri.
Quindi abbiamo trovato il motivo per cui sentiamo il desiderio di dire agli altri cosa facciamo, cosa mangiamo o magari quello che riteniamo valido ed in cui crediamo.
Perché però esplode la rabbia, la presunzione o la maleducazione?
Cosa ci spinge a liberare istinti così primordiali?
Personaggi pubblici presi di mira, ma non solo.
Anche persone comuni come me e te, che se in un qualche modo hanno l’ardire di esporsi su un argomento vengono immediatamente coperti di commenti, positivi ma anche negativi o peggio allucinanti alle volte.
Non si tratta solo dei cosiddetti “haters” ma anche amici, contatti pseudo tali o amici di amici che anche non conoscendoti bene, si permettono di giudicarti, attaccarti o accusarti di qualcosa che sembra andare contro i loro pensieri.
Ognuno è convinto di essere nel giusto e di difendere la causa (ogni tanto persa) che gli sta a cuore, spesso però basandosi su pregiudizi o non conoscenza dei fatti nello specifico, magari portando come prova bufale o fake news nel peggiore dei casi.
Uno studio pubblicato su Social Psychology ha preso in esame il fenomeno degli “haters” (gli odiatori) asserendo che si comporta così lo fa perché tendenzialmente è più infelice.
Gli autori (Justin Hepler – University of Illinois e Dolores Albarracín – University of Pennsylvania) hanno documentato che tra haters e likers (definiti come quelli rispettivamente che si dispongono in maniera negativa o positiva negli atteggiamenti) a cambiare non è tanto la quantità di tempo che essi impiegano nelle diverse attività durante la settimana, quanto piuttosto il numero stesso di attività svolte. In sostanza gli haters fanno meno cose ma per più tempo.
I problemi sono molteplici, ne banalizzo due:
- che reputazione pensa di costruirsi chi dileggia o si crede superiore agli altri?
- se si esagera si va incontro a problemi che possono essere risolti anche dall’autorità giudiziaria
Posso davvero convincere qualcuno della mia opinione se lo offendo e non entro in comunicazione vera con lui/lei?
No, lo capirebbe chiunque.
Quindi “il leone da tastiera” cosa ci guadagna?
- Ammirazione di chi pensa che sia un comportamento corretto aggredire chiunque la pensi diversamente?
- Oppure per un like siamo disposti ad essere etichettati, reputati, come disturbatori, odiatori o (peggio) violenti?
- Pensiamo davvero che un nostro commento di sdegno, anche se può essere giustificato talvolta, sia educativo o possa smascherare eventuali truffatori e malintenzionati?
- Perché, se tanto coraggiosi, questi personaggi molto spesso si “nascondono” dietro a dei profili falsi e non mostrano il loro nome e cognome?
Giovanni Ziccardi, nel suo libro “L’odio online. Violenza verbale e ossessioni in rete” distingue l’hate speech (originato da razza, religione e credo politico) dall’odio che chiama “interpersonale”, che sembra scaturire da cosa anche più banali. Il tratto comune è comunque la veemenza dell’insulto che si autoalimenta conversando, in cui si attua “l’effetto gregge”.
Forse a chi si comporta in questo modo talvolta sfugge che dietro allo scritto c’è una persona.
Tastiera, smartphone forse semplificano chi desidera sfogarsi senza avere troppo stress, perché mediati da uno schermo.
Alcune ricerche hanno evidenziato nella personalità degli haters dei tratti “sadici” che si esprimono online, poiché nella vita quotidiana non trovano spazio e sfogo.
Queste persone hanno bisogno di sentirsi potenti arrecando un danno agli altri. Non a caso, infatti, le vittime preferite sono quelle persone percepite come popolari, di successo o in qualche modo attraenti.
Facci caso, anche noi possiamo iniziare ad attirare l’attenzione di questi personaggi quando ci considerano “influenti” o una possibile minaccia, anche solo virtuale o del loro costrutto mentale.
Online Disinhibition Effect
La disinibizione online è un fenomeno che non da oggi viene studiato e con cui ciascuno di noi deve fare i conti. La tendenza è quella di esprimere noi stessi più liberamente perché pensiamo che ci sia uno schermo a proteggerci o un pubblico a sorreggerci.
Altro macro-problema è il fatto che spesso si pensa che democraticità del web significhi poter dire un qualcosa sempre e comunque e farlo in modo autorevole al pari di chi è effettivamente un leader in quel settore.
Siamo tutti commissari tecnici, chirurghi, teologi, scienziati, ingegneri, architetti, costituzionalisti, giornalisti solo perché abbiamo libertà di esprimerci pubblicamente.
Se la mia parola sulla medicina vale tanto quella di un medico, capisci che sorge un problema alquanto grave?
Ci sono soluzioni a questo problema?
Io credo di sì, ma sta a noi essere i primi a non cadere in trappola.
Cioè?
- Pensiamo in primis all’importanza che riveste mantenere al TOP la nostra reputazione online, personale e professionale.
- Se incontriamo odiatori/haters/persone in cerca di visibilità evitiamo di cadere nel tranello della risposta violenta anche solo verbale. Restiamo determinati nell’educazione e se necessario segnaliamo alle autorità competenti.
- Evitiamo la ricerca di haters per rendere più visibile il nostro post (più è commentato e più l’algoritmo premia questa attività)
- Limitiamoci a dare un parere onesto, serio sui temi che conosciamo e sui quali abbiamo competenza, altrimenti… non è obbligatorio dire la nostra opinione (magari non richiesta)
- Verifichiamo le notizie prima di diffonderle o prima di presumerle vere, spacciandole anche in buona fede come tali (sia in difesa di una nostra opinione che per confutare tesi altrui)
- La libertà d’opinione è un diritto inalienabile, ma non per questo qualcuno (tanto meno noi) abbiamo il potere di farla diventare un’arma tagliente ed affilatissima, oltre che mortale
Buone pratiche da attuare?
Bisogna fare cultura, creare consapevolezza e sta a ciascuno di noi il fatto di non sentirci esenti da ciò.
Ti voglio segnalare una campagna: #ILoveYouHater con cui Sprite ha provato recentemente a rispondere (con genialità a mio parere) a chi non trova niente di meglio che offendere sul web sulla base di pregiudizi etnici, religiosi, politici o persino legati alla forma fisica.