Generazione Y, Nativi Digitali, Millennials, Echo Boomers, Next Generation.
Sono tante le definizioni che si possono trovare di questi “giovini”.
Ma di chi parliamo?
Chi sono i Millennials
I Millennials sono gli utenti nati tra il 1980 ed il 2000.
Generazione di fenomeni cantavano gli Stadio negli Anni 90, chissà se si riferivano a coloro che “nell’età adulta presentano dimestichezza con la tecnologia digitale conoscendone spontaneamente i codici comunicativi” (questa una delle definizioni più ufficiali che si possono trovare).
Per il Time “sono ragazzini pigri e narcisisti che vivono ancora con la propria famiglia” ma non sono la Generazione Z, come definita anche da Riccardo Coni su TSW.it e che corrisponde ai giovanissimi del XXI secolo.
Se facciamo un rapido calcolo possiamo capire a quale fascia di età appartengono queste categorie.
Non mi entusiasma dividere le persone in classi di appartenenza tuttavia è interessante fare delle considerazioni.
Il blog marketo in un grafico spiega la differenza tra le due ultime “generation”.
Differenze che possono sembrare sottili, ma in realtà paiono “evolutive” del sistema.
Hai mai fatto caso (se hai bambini piccoli) di come siano attratti dagli smartphone o tablet e da come sembrino a loro agio nello scroll?
Cosa sanno fare i Millennials
Possono essere youtuber, fashion blogger, instagrammer, li definiscono anche consumatori 2.0 (Amazon è il loro regno).
Divertente l’immagine che strogoff pubblica in un post in cui inquadra bene i nativi digitali come utilizzatori di smartphone (e status symbol relativi) e ironizzando sulle case madri degli stessi.
Lo stesso blog poi riporta anche un’infografica (a cura di Assogestioni e Demia) di sintesi.
Sempre per approfondire il tema e la vera natura di questi coetanei (sono un classe ’78) segnalo che l’Huffington Post ha fatto qualche intervista incrociata da cui si desumono altre caratteristiche:
Cosa non sanno fare i Millenials
Lo avevo già citato parlando nello specifico del tema delle fake news e bufale, ma ultimamente ho letto un articolo di Federico Rampini (L’insospettabile ingenuità dei nativi digitali) che mi ha nuovamente acceso una lampadina.
“L’allarme – scrive Rampini – viene dalla Graduate School of Education di Stanford, al termine di una lunga ricerca sul campo, un’indagine che ha coinvolto studenti della secondaria, dei licei, e dell’università […] lo studio condotto dallo Stanford History Education Group ebbe inizio nel Gennaio 2015”.
Il risultato di questo studio mostra una incapacità sconcertante da parte degli studenti di ragionare sulle informazioni che vedono sul web.
Eppure sono proprio loro coloro i quali utilizzano i social e il web da tempo.
Ma non distinguere contenuti pubblicitari dagli “organici”, non sapere identificare le fonti è sintomo di un problema che va al di là delle categorie e dei gusti dei Millennials.
“Nei prossimi mesi, non vediamo l’ora di condividere le nostre valutazioni e lavorare con gli educatori per creare materiali che aiuteranno i giovani a comprendere il mare di disinformazione che incontrano on-line.”, queste le conclusioni di uno degli professori-autori della ricerca.
“I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano messi subito a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel”,
queste le parole di Umberto Eco risuonate e tanto discusse a suo tempo ma che ancora oggi ritornano quando si parla di certi argomenti e che anche l’articolo di Repubblica riporta testualmente a commento e paragone dei risultati statunitensi.
L’impreparazione degli studenti è palese, mi domando però: se facessimo lo stesso test a genitori e insegnanti degli stessi ragazzi cosa ne salterebbe fuori?
Beh lo Sheg (si legge nell’articolo) ha elaborato una sorta di prontuario per i professori.
Cosa si può fare per i Millennials?
La tecnologia ci ha consegnato alcuni mezzi, dimenticandosi però un libretto per le istruzioni.
Ecco perché probabilmente menti più conformi all’utilizzo di strumentazione “smart” si sono impadroniti di essa nell’uso quotidiano senza fare troppi sforzi intellettivi.
Tuttavia questo ha fatto sì che tanti mister Y pensino di essere perfettamente padroni del mezzo per il solo fatto di maneggiarlo.
Qui l’errore che stiamo pagando.
Nessuno ci aiuta ad aumentare la nostra consapevolezza, le diffidenze di generazioni precedenti ai Millennials in alcuni casi consentono (forse) alle persone di avere più timore nel chiedersi se effettivamente è tutto oro quel che luccica.
La paura non è mai una soluzione, tuttavia dovrebbe crescere in chiunque di noi, qualsiasi età abbiamo, quella giusta percentuale di curiosità mista al senso di responsabilità collettiva che dovremmo mostrare nell’approcciarci a strumenti che hanno un potenziale di coinvolgimento nostro e di altri molto alto.
E se tutto questo forse non può essere “innato” allora ben venga l’idea nata a Stanford di dotarsi di strumenti e formare all’uso e comprensione di ciò che si legge e si fa.
Perchè non è questione di tecnicismi, ma di coscienza e di intelletto.