Soggettività nel campo della produzione editoriale
Passioni, valori, credo sono caratteristiche dell’uomo. Ognuno ha i propri. Così il giornalista.
Ma come può coesistere il diritto ad informare con la soggettività propria della persona umana?
Sono domande che mi pongo molto spesso.
Parto con una premessa forse banale ma non per tutti.
Esiste un preciso codice deontologico a cui il giornalista è tenuto ad attenersi.
Secondo questo codice (che viene poi esplicitato a seconda degli ambiti) il giornalista è tenuto a riferire correttamente (senza alterazioni e omissioni che ne modifichino il vero significato) le informazioni di cui dispone.
Questo è il primo ed indispensabile aspetto di cui tener conto. Il diritto a raccontare la verità e il diritto ad informare sono condizioni che dovrebbero guidare il nostro lavoro e responsabilizzarci nel modo più assoluto.
La verità quindi è già la prima risposta alla faziosità.
Se racconto e ricerco il vero al di là di come la penso sono costretto a fare uno sforzo intellettuale che mi fa uscire dalle logiche che guiderebbero la penna (tastiera) con cui scrivo assecondando le mie passioni o la mia inclinazione rispetto a credo religiosi, politici o…sportivi.
Ecco perché se si mantiene la barra dritta su questo aspetto e se ci si ricorda di essere tenuti a quel codice di cui sopra che comprende anche il rispetto dei diritti fondamentali delle persone risulta poi abbastanza semplice (sulla carta) ovviare ad accuse di faziosità.
Tutto questo vale (a maggior ragione) nell’ambito sportivo. Quante volte vi sarà capitato di imbattervi in blog di tifosi o articoli che sembrano scritti (magari molto bene) ma da ultras piuttosto che da giornalisti?
Banale dire che con il web tutti sono messi nelle condizioni per comunicare e in tanti anche non professionisti lo fanno. Detto questo sono tante le testate giornalistiche o meno che si occupano di sport o magari di squadre locali in particolare.
Avendone avuta esperienza diretta ho sempre verificato quanto la sindrome del tifoso sia contagiosa quasi al pari della sindrome da supporter partitico che si legge sui social soprattutto durante certi momenti come ad esempio le campagne elettorali.
Ascolto molto anche la radio e anche sull’etere ci sono trasmissioni giornalistiche ed altre ad appannaggio di appassionati ad esempio sportivi.
Intendiamoci. Poter parlare o scrivere della propria squadra del cuore è un privilegio e può regalare emozioni particolari, non ci sono dubbi.
Tuttavia anche in questo caso (se si vuole fare giornalismo) sarebbe bene tenere presente e distinguere la propria passione dagli accadimenti reali.
Credo che si possa anche non nascondere il proprio “credo” ed evitare ipocrisie al contrario, diventando assoluti critici per non destare sospetti (ma andando contro al principio di verità di cui sopra).
La ricerca della notizia per quella che è e che contiene, l’approfondimento, la messa in discussione delle cose, il senso critico (non a prescindere o polemico a tutti i costi) sono caratteristiche davvero importanti, che tutti noi dovremmo avere ed allenare, soprattutto.
Evidentemente se facciamo di mestiere i giornalisti o se volessimo diventare tali.
Ma il concetto di verità vale anche per il nostro editore?
Questo è un tema davvero imponente e complesso.
La mia esperienza in questo senso è assolutamente positiva e mi debbo ritenere fortunato, ma la riflessione andrebbe molto avanti e scavallerebbe in altri ambiti…
(fonte immagine: ItaliaPost)