Ho 2551 contatti (preferisco chiamarli così) su Facebook, 367 follower su Twitter e 188 su Instagram, oltre a più di 500 collegamenti in LinkedIn (dati aggiornati a Maggio 2014).
Dunque? Sono famoso? Assolutamente NO.
Come queste connessioni virtuali sono reali e come influenzino la mia vita personale e professionale però è determinante.
I numeri sui social (per i profili personali) non sono indicatori di successo, né si misurano in modo proporzionale alla realtà.
Ho iniziato ad utilizzare Facebook nel 2008, scoprendolo quasi casualmente ed entusiasmandomi per l’effettiva possibilità di ri-mettermi in contatto con amici ed amiche lontani/e o con persone incrociate nel corso degli anni.
Non mi interessava avere tra i contatti persone con cui mi interfacciavo quotidianamente o quasi, ma più che altro accorciare le distanze spazio-temporali con individui conosciuti tempo addietro.
Pian piano però il social si è espanso ed è incominciata la ricerca dell’amicizia da parte di chiunque.
E sono stato al gioco.
Sono un “curioso digitale” e ho l’ambizione di comunicare, pertanto per scopi personali e per la passione politica (al tempo avevo un piccolo incarico istituzionale) mi sono lasciato andare molto volentieri.
L’approccio con Twitter e gli altri social è nato più avanti, quando ho cambiato professione ed ho iniziato ad occuparmi di comunicazione.
Ho avuto la fortuna di frequentare una scuola superiore che mi ha dato l’opportunità di scoprire il web già a metà degli anni Novanta, per noi nel 1996 era normale usare la posta elettronica e ricercare notizie nel mare magnum Internet, mentre mi accorgevo che nella cerchia dei miei amici (reali) quasi nessuno era alfabetizzato su questa tecnologia.
Tornando a tempi più recenti, da quando ho iniziato a lavorare nella comunicazione (prima avevo avuto qualche occasione di puro volontariato nel settore), ho potuto verificare l’utilizzo professionale dei social e da autodidatta ho cominciato a cambiare il mio atteggiamento sul web.
Oggi posso testimoniare di avere quei numeri di contatti che indicavo nell’incipit, ma a che pro?
Debbo dire che il numero si è ampliato proprio a seguito di passioni e per la professione che esercito, andando ad aumentare la massa degli amici/conoscenti reali.
L’avvento poi degli smartphone e tablet con cui poter interagire sempre e dovunque ha fatto sì anche per me che il lavoro non finisca mai e che si trascini inevitabilmente in orari e giorni solitamente “liberi”.
Si è sempre connessi.
Ma questo comporta qualche disfunzione…
In che misura i social rappresentano la realtà e come eventualmente ci distolgono da essa?
È un interrogativo che apre mille dubbi.
Antonio Tresca in un articolo su Huffington Post Italia scrive “Secondo uno studio condotto dall’Università del North Carolina, infatti, ogni volta che riceviamo un “Mi Piace” sul Social Network blu, o un “Retweet” su Twitter, il nostro organismo rilascerebbe una piccola scarica di dopamina, il neurotrasmettitore che, regolando il nostro senso di gratificazione, è coinvolto nei fenomeni di dipendenza“
E’ vero…un retweet, un mi piace, un apprezzamento soddisfa il nostro ego.
Con l’espansione dei blog prima e dei social poi siamo tutti dei comunicatori.
Possiamo mettere in piazza qualsiasi cosa.
È un’opportunità infinitamente grande e un’arma a doppio taglio.
Se è necessario conoscere gli algoritmi di Google e un minimo di marketing per costruire vere campagne di comunicazione, siamo certi che i nostri post abbiano comunque una platea, piccola o grande che sia.
E’ umano, credo, trovare piacevole la gratificazione o in casi peggiori la commiserazione, come è insito in alcuni farsi prendere dal vittimismo.
I nostri vizi trovano terreno fertile sui social.
L’equilibrio che si deve trovare quindi è la consapevolezza ed una conoscenza degli strumenti che utilizziamo.
L’utilizzo per fini personali si deve ridurre a momenti specifici in cui si è chiaramente e misuratamente/volontariamente nel web per leggere, svagarsi, ridere, piangere, sfogarsi, informarsi, spettegolare, dare sfogo alle proprie passioni….
Quando il web diventa strumento imprescindibile di lavoro il problema si amplia.
L’amica Francesca Sanzo in un post in cui parla di disintossicazione e di “ipotesi di relazione” conclude lo scritto dicendo “qualsiasi cosa, quando si naturalizza troppo, può diventare pericolosa”.
L’articolo di Francesca nasce da una testimonianza/intervista di Alex Giordano sempre sul tema. “Ero finito vittima di un amore passionale che poteva essere distruttivo per entrambi i partner. E come capita in questi casi ho capito che forse la passione poteva essere pericolosa e poteva farci bruciare entrambi: me ed il circo umano dei social media. Potevamo essere pericolosi l’uno per l’altro. Anzi eravamo pericolosissimi per il fatto stesso di essere la stessa cosa, l’uno realmente parte dell’altro e viceversa. E questo non riguarda solo me come studio di Etnografia Digitale ma un ormai un po’ tutti noi che scandiamo la nostra vita al ritmo della timeline. Allora ho preferito lasciare la città “per vedere quanto alte si erigevano le sue torri sopra le case”.
Se facessi scrivere un commento a mia moglie sarebbe sicuramente pronta a recriminare il sovra-utilizzo dello smartphone anche nei fine settimana, la sera, durante le ferie…
È frustrante fare il comunicatore e sapere di dover approfittare delle occasioni quando capitano e rendersi conto che si sbaglia il momento in cui farle.
La sete di notizie, insita nelle nostre professioni, si scontra con i tempi di vita.
Come fare?
Innanzitutto credo sia bene prendere coscienza che il web sia una faccia della realtà.
Oggi tantissime persone sono connesse e pian piano la digitalizzazione si estende geograficamente ma anche generazionalmente.
Io non ho 2551 amici, ne ho molti meno, tuttavia posso restare in contatto con oltre duemila persone per condividere pensieri, commentare i loro, sapere di eventi lieti e meno lieti, approfittare di un istante per approfondire qualche passione… Tuttavia è proprio necessario non rinunciare ad un post o ad una visualizzazione di notifica o email durante il tempo cosiddetto libero?
Certo ci sono momenti in cui è necessario essere connessi per adempiere al proprio dovere in modo adeguato e con la passione del caso (che mi piace accompagnare ove possibile), ma ce ne sono altri in cui un gioco con tuo figlio o una chiacchiera reale sono più indispensabili che un tweet.
Lo dico prima a me che agli altri.
Lo scorso anno quasi per scommessa per una giornata intera ho rinunciato al telefono durante le ferie: ho solo controllato che non vi fossero chiamate o sms di carattere familiare di un certo livello ma sono sopravvissuto.
Qualche giorno fa ho dimenticato lo stesso smartphone a casa durante una giornata al mare con la famiglia: devo dire che ho apprezzato il non occupare tempi morti per fare selfie o controllare email o registrare la mia posizione da qualche parte.
La sera stessa ho poi postato sul mio diario le sensazioni che ho avuto e il gusto che ho provato nell’essere disconnesso.
Debbo dire che il senso di colpa soprattutto nei riguardi della mia famiglia mi spinge a dire che vorrò ripetere l’esperienza off-line per qualche giorno.
Ci sono momenti in cui la realtà deve prendere il sopravvento e il lasciare il nostro io digitale al suo destino (silente) deve diventare un’esigenza ed una regola.